Che fare ora per favorire la ripresa delle attività della scena non commerciale delle arti visive
Vittorio Urbani1

La attuale condizione di emergenza da epidemia del Covid19 rischia di sopraffare l’individuo, anche intellettualmente. Molte persone creative, a dispetto dell’aumentato tempo libero dato dall’essere confinati a casa, trovano difficile “creare”, scrivere, dipingere ecc. De-costruire la crisi nei suoi aspetti diversi, uscire dalla banalità della routine della sopravvivenza quotidiana, e costruire nuove strutture sociali è quello che possiamo fare. E questa è una buona ragione per creare uno spazio di discussione condiviso. Ricreare le comunità che sono state danneggiate, la possibilità di essere insieme nel momento in cui questo è proibito.

È necessario, pur nell’ovvia precedenza alla attuale emergenza sanitaria, attivare un “noi”, cioè un robusto e condiviso brainstorming sul futuro delle "attività culturali visive non commerciali di iniziativa privata". Un vasto insieme che si caratterizza per la importante e fresca "produzione propria", e si realizza per lo più al di fuori delle strutture e finanziamenti pubblici della cultura. Insieme a questo, la riflessione su modi innovativi per la presentazione del lavoro degli artisti.

E questa nuova azione va pensata ora. Dopo il Covid (se e quando ci sarà), sarà troppo tardi per iniziare ad agire, anche perché "noi della cultura visiva non profit" resteremo schiacciati dalle varie emergenze, sanitarie, sociali ed economiche che indubbiamente saranno urgenti e pesanti. Come in tutte le situazioni di crisi, o di post-crisi (che è di solito anche peggiore, perché si presenta come una serie di domande difficili che richiedono una risposta nell’adesso), si deve definire un campo di condivisione del lavoro e delle idee, cioè definire un “noi”. Qui il “noi” corrisponde agli operatori (come manager e organizzatori e gli artisti) nel campo non commerciale delle arti visive. Che questo campo resti una rete dalle maglie larghe, dove anche i pesci più piccoli o bizzarri possano entrare e uscire, e sentirvisi sicuri e non intrappolati.

Il 12 aprile sul quotidiano napoletano Il Mattino, in una intervista il musicista ed etnologo Roberto De Simone, interrogato sulla sua visione sul dopo-Covid, diceva: Mi sembra che il virus provocherà una palingenesi. In peggio o in meglio non sappiamo. Ma se un tempo si diceva tutto cambi perché nulla cambi, oggi il cambiamento non dipende dalla nostra volontà. Tutto cambierà perché deve cambiare. E il futuro sarà degli artisti e dei competenti.

In un recente “webinar” il direttore di cheFare Bertram Niessen (cheFare è una piattaforma italiana internet “per la trasformazione culturale”) indicando la necessità di trasformazione di nuovi centri culturali, sottolinea il cambio che stanno ora attraversando le grandi istituzioni culturali come musei e biblioteche, che cercano di diventare – nelle sue parole - piattaforme porose che attivano cambiamenti sociali, che è quello che stanno già facendo spontaneamente i nuovi centri culturali. La cosa interessante è che la crisi dei “grandi” significa che in paragone la nostra rilevanza sociale e possibile influenza, sta crescendo.

Il 17 aprile Simon Dove, di Cecartslink, commenta via mail: … artists, almost uniquely, can bring people together, across borders, across differences, and catalyze dialogue and creative collaboration. After all these weeks of social isolation it will be vital that we rebuild trust, connection, and dialogue between artists, between communities, and between nations.We know there is much to do to rebuild trust and reconnect communities around the globe, and we also know this will be vital for the future of civil society in the US and beyond. Whilst we re-imagine our work connecting artists across borders, please be in touch with me with your needs, ideas, or collaborative strategies.

Riprendo la riflessione mandatami in una recente email personale dal curatore Glenn Alteen, past director di “grunt”, avanguardistico spazio dedicato all’arte contemporanea di Vancouver: If we look at the post virus scenario. I think it will be a different world. Some industries will never recover. Im glad Im not running a cruise ship company, an airline or a hotel. I think the future will be quite different. Many people across the world, like you, will plant gardens this year. I think people will travel less and there will be less emphasis on biennials, and art fairs and international conferences. More things will exist online. Bigger events like concerts and festivals will be greatly curtailed. People will not want to gather in large groups for some time. And some art forms will not survive or will survive in radical different way then they do right now. I think this pause in life across the world will have ramifications beyond the virus. The climate situation will need to get addressed inside of this and many things that have been on the verge of being will come into focus now. What happens now will define the life in the 21 century. Social distancing will be the norm, online encounters will become as important as physical ones.

E traggo dall’articolo “La crisi del Coronavirus ci sta insegnando che cambiare è possibile” di Lorenzo Marsili, attivista e filosofo (dal sito di CheFare, 11.4.2020): Fino ad oggi, noi europei assistevamo a guerre, siccità, colpi di stato, rivoluzioni ed epidemie in altre parti del mondo come spettatori di una recita distante e vi partecipavamo attraverso appelli, donazioni e manifestazioni. La storia stessa, per noi, pareva essere finita. Le nostre società erano schiacciate su un presentismo in cui il futuro sembrava divenire infinita ripetizione dello stesso. Con il nuovo millennio questo letargo è stato lentamente e poi sempre più velocemente scosso: l’attacco alle torri gemelle nel 2001, l’implosione del sistema finanziario nel 2008. E oggi una crisi totale è alle nostre porte. Potrebbe essere un’occasione per prendere finalmente in mano le grandi sfide del nostro tempo e cambiare tutto? <…> La generazione dei nostri nonni non è solo cresciuta sotto le bombe, ma ha anche vissuto la straordinaria trasformazione che ha seguito la seconda guerra mondiale. Il regime fascista ha ceduto il passo a una fiorente democrazia; un sistema economico drammaticamente ingiusto ha fatto strada al compromesso sociale che avrebbe costruito lo stato sociale. A colonialismo e razzismo istituzionale è seguito l’emergere del multiculturalismo.

Il bisogno di una riflessione condivisa è insomma sentito globalmente. Io partirei da queste riflessioni – ne estraggo alcune parole chiave: Competenza, Cambiamento, Condivisione, Multiculturalismo - per chiederci: cosa fare, dopo l’emergenza pandemia, per favorire la ripresa delle attività della scena non commerciale delle arti visive?

Un breve ritratto della situazione:

1. che cosa succede / succederà:

Gallerie, mostre, fiere, residenze d’artista intorno al mondo stanno chiudendo in risposta al COVID19, facendo collassare l’occasione di esposizione e di vendite degli artisti. Secondo una recente indagine di American for the Arts, il 85% delle organizzazioni artistiche ha cancellato un evento, una performance o una mostra. Un dato simile o più grande può immaginarsi per la scena Europea. A parte la frustrazione causata dalla cancellazione di un evento, gli artisti trovano la loro tradizionale via di introito improvvisamente cancellata. Infatti il caso di gallerie che supportano con un salario i propri artisti è del tutto eccezionale.

2. come possono reagire gli artisti:

C’è chi si chiude in studio, continua la propria ricerca personale, studia, archivia le proprie opere: insomma vive rinchiuso, come in montagna d’inverno. La seconda strada, al momento la più comune, è di andare sul digitale, con internet: siti web, social media, youtube eccetera … Molti ora si lanciano magari per la prima volta nel digitale, spesso con deludenti effetti anche perché la tentazione al “far da te” per lo più porta a prodotti poco professionali.

Ma si possono studiare nuove risorse per artisti: una delle prime autodifese, è il mantenere una sana e forte comunità artistica. Il sentire comunanza è già rassicurante e promuovente l’autostima. E’ il momento in cui associazioni di artisti possono essere importanti. Ma questo tipo di esperienza ha una lunga tradizione nel Nord America e nei paesi dell’Europa settentrionale, molto meno in quelli dell’Europa mediterranea.

3. che fare?

3a. Creare attraverso l’arte comunità e condivisione. E quindi una opinione forte. Non rimaniamo soli davanti al computer. Le arti ci hanno sempre spinto ad essere insieme, se non altro come pubblico. Gli artisti continuano ad innovare nonostante le recenti sfide e ad ispirare il mondo che ci circonda a trovare nuovi modi di connettersi. Una artista che risponde alla situazione presente, con la sua comunità in mente è l’americana Victoria Helena. A dispetto delle entrate cancellate e dei ritardi nel lavoro, ha lanciato un progetto collaborativo globale chiamato Co19 Project. Il suo progetto è di raccogliere e condividere espressioni creative dal mondo. Altri artisti si connettono digitalmente attraverso lezioni online e creando risorse per le loro comunità. Mentre non possiamo riunirci fisicamente, possiamo ancora essere insieme e promuovere una comunità significativa anche se operando a distanza. Per gli artisti, può essere vitale connettersi con altri artisti dalla simile forma mentis. Per esempio si può proporre una specie di collettivo di arte-in-isolamento. Gli artisti, unendosi a webinars, critici d’arte in forma digitali, managers culturali e anche collezionisti, possono creare discussione e versioni online della visita in studio. Tutte queste forme professionali insieme possono creare una comunità, ognuna portando competenze professionali diverse e creatività.

3b. La sfida reale è trovare nuove modalità di presentazione dell’arte oltre il digitale. Questa è una pagina ancora da scrivere, e io ti invito a pensarci e condividere.

Conclusioni e proposta

La crisi legata alla pandemia da Coronavirus COVID 19, ha colpito prima di tutto la interazione umana, e quindi ora, la fiducia nel contatto umano, come luogo caratteristico di realizzazione delle attività, dei sentimenti, e anche delle contraddizioni, della violenza, dei modi tutti in cui si esprime la nostra specie. Il chiuderci a casa ha anche comportato la chiusura di gallerie, fiere, mostre in spazi pubblici e privati; questo ha messo in crisi il sistema economico dell’arte soprattutto alla sua base fragile, cioè gli artisti; ha cancellato la presentazione pubblica del loro lavoro, spesso durato anni.

Questa situazione ha trovato una apparentemente facile (e sicuramente economica) via di fuga nel digitale: si moltiplicano le realizzazioni di video, le presentazioni su youtube, instagram, facebook ecc. Ma cchi andrà a vedere tutto questo enorme materiale? L’offerta sovrabbondante rischia di paralizzarne la fruizione. Inoltre, chi ne garantisce la qualità? Fino ad ora, la (faticosamente raggiunta) presentazione in una galleria rispettata, o in un museo, o l’attenzione di un critico autorevole erano bastante “garanzia” a consacrare il lavoro di un artista. E inoltre, come la proprietà intellettuale di queste immagini “buttate” in rete è tutelata? La stessa libera accessibilità dei materiali su internet ne rende facilissimo il plagio o furto intellettuale. E la domanda più importante: è realmente il prodotto digitale soddisfacente a sostituire la percezione personale dell’arte? Spingendoci tutti nello spazio della comunicazione digitale, questa situazione ci espone inoltre al grave e ben presente rischio del controllo tecnologico di questa comunicazione, sia esso diretto dalle forze degli Stati con fini di controllo politico e sociale, sia da quelle di gruppi di potere economico con un – apparentemente più innocuo - goal di profitti commerciali, comunque molto interconnessi e impossibili da controllare da parte dell’utente.

Vorrei avanzare la proposta di organizzarci noi autonomamente: favorire cioè una piattaforma di dialogo tra noi operatori (artisti, operatori del non profit, galleristi, curatori, critici). Trovare, grazie alle nostre non trascurabili risorse intellettuali, un filo di Arianna del fare nuovo che ci permetta di affrontare il futuro prossimo, senza trovarci negli spazi angusti del dover trovare soluzioni all’ultimo momento. Questa è quindi una chiamata alla azione: riuniamoci fra chi sente questa esigenza di ragionare sulla operatività futura e desideri approfondire la discussione in qualunque forma di condivisione sembrasse opportuna.



Vittorio Urbani1
Napoli 14 maggio 2020
info@nuovaicona.org

1direttore e curatore della associazione culturale Nuova Icona, fondata a Venezia nel 1993 e attiva nel supporto di attività legate alla cultura visiva contemporanea. Dal 2020 vive a Napoli, da dove continua l’esperienza di Nuova Icona attraverso collaborazioni nuove, ricercate attivamente non solo nel campo culturale e artistico ma anche nelle attività di solidarietà sanitaria e sociale.