In questo periodo capita che molte persone perdano le loro abitudini, che le giornate si confondano, che gli orari cambino trasformando il tempo in base a ritmi molto diversi da quelli del solito quotidiano.
Con l’eliminazione degli spostamenti e la limitazione alla sola superficie domestica senz’altro sono cambiate le prospettive: non sempre però avere a disposizione meno spazio significa vivere una limitazione, e non sempre avere più tempo comporta necessariamente un vantaggio. L’espansione può infatti comportare una scossa non indifferente nella gestione organizzativa, mentre riduzione e azzeramento possono facilitare nuove aperture, consapevolezze e visioni.
Antoni Muntadas (Barcellona, 1942) con SPACE (videoproiezione, loop 4’13”, 2004) ha messo in relazione uno spazio compresso, una azione limitata e ripetitiva, e il peso incommensurabile della storia della tradizione.
In questo lavoro - in cui è possibile cercare nuove definizioni per concetti come spazio, luogo e ambiente - un gruppo di donne si muove intorno a una stanza vuota riempita di soli letti tatami. L’azione è continua, rilassata e naturale: non c’è sforzo né tensione nel percorrere questo circuito, pur nella ripetizione.
Secondo l’antica cultura cinese poi disseminatasi anche in Corea (dove il video è stato girato) e in Giappone, lo spazio veniva organizzato in modo da essere lasciato sostanzialmente vuoto, con la sola presenza di mobili a livello del pavimento. Se però in Cina l’azione di globalizzazione e contaminazione con la cultura occidentale ha portato alla scomparsa di questa modalità, negli altri due paesi essa ancora resiste: in tale prospettiva l’azione circolare di queste donne potrebbe essere interpretata come un rituale, una sorta di cerimonia che celebra la tradizione attraverso lo spazio. L’atto del camminare in tondo può diventare quindi una rievocazione non solo del tempo, ma anche del senso attribuito allo spazio: la stanza perde i propri limiti, le pareti si annullano, e nella semplicità di un ambiente fatto di aria e di luce è possibile ritrovare e connettersi con la grandiosa e naturale semplicità dell’essere uomini nello spazio del tempo.
Eliminare le coordinate e trovarsi nel flusso è un processo che appartiene anche a Nuovo Vento (installazione sonora, traccia audio 3’30” in loop, 2020) di Mariateresa Sartori (Venezia, 1961).
Quest’opera da allestire in uno spazio completamente buio, è pensata per far perdere all’individuo il senso dell’architettura e delle barriere affinché, in una dimensione non misurabile e senza confini, ci si possa sentire completamente immersi nel luogo in cui ci si trova. In questa situazione già di per sé intensa e catartica, in cui il buio amplifica ogni possibile sensazione che si presenta a fior di pelle, si diffonde il suono tagliente, vorticoso e penetrante del vento: l’artista ha infatti identificato in questo elemento il filtro tra interno ed esterno, tra dimensione pubblica e privata, tra uomo e natura. È la voce di qualcosa che riesce a infiltrarsi, di ciò che pur nell’invisibilità è così potente da far urlare uno spiffero e da far vibrare l’ambiente di un profondo e spiazzante disagio. È un suono conosciuto e per questo intimo ma anche universale: l’artista lo fonde con quello delle voci di un coro a cappella. Non è quasi mai possibile distinguere la natura dall’uomo e l’uomo dalla natura in questa traccia sonora e in questo spazio oscuro: sono entrambi punti di una stessa linea che si forma e si compone solo nell’interazione e nell’affiancamento delle sue singole parti.
Del resto è il nostro stesso linguaggio a dar traccia di questo affiatamento e di questo confondersi e mescolarsi dei piani: spesso usiamo espressioni come “il vento corre” o “il vento parla”. Forse per questo da bambina Sartori chiedeva a sua madre se il vento aveva la bocca o le gambe: “la reclusione forzata – dice l’artista raccontando l’opera e la sua genesi - credo abbia indirizzato il mio sguardo in modo meno distratto verso il passato, verso il tempo da cui tutto ha origine. Orizzontalità dello spazio che entra nella stanza portato dal vento. Verticalità del tempo che sprofonda nei ricordi sepolti”. Con Nuovo Vento tutto si percepisce come un vortice, ma nella prospettiva del ricordo il tempo e lo spazio si presentano come un diagramma di coordinate orizzontali e verticali.